Arbores / La ramificazione dei nuovi centri culturali
TeatroBasilica
Testi: Davide Lunerti
Fotografie: Riccardo Ferranti
Dalle spoglie di un teatro abbandonato in una basilica interrotta a metà dei lavori sorge TeatroBasilica, in cui giovani registi e attori si misurano con la suggestività dello spazio e l’attualità contemporanea, coinvolgendo un pubblico diversificato con cui intraprendono uno stretto dialogo. Il Gruppo della Creta è la compagnia residente del Teatro, nella quale talenti emergenti under35 lavorano all’organizzazione, produzione e comunicazione di spettacoli sperimentali di nuova drammaturgia.
Dettagli
Anno: 2018
Indirizzo: P.zza di Porta S. Giovanni, 10
Direttivo: fanno parte di TeatroBasilica: attrice Daniela Giovanetti, il regista Alessandro Di Murro, il collettivo Gruppo della Creta e un team di artisti e tecnici, con la collaborazione di Antonio Calenda
Intervista: Gruppo della Creta
Sito: https://www.teatrobasilica.com/
ALESSANDRO DI MURRO
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Com’è nato il vostro progetto? Perché aprire proprio in questa zona?
Il Gruppo della Creta è un collettivo di artisti, in attività dal 2015, che si impegna nell’organizzazione, produzione e comunicazione di eventi legati alle arti performative, per dar vita a un teatro che rappresenti le problematiche della società contemporanea e proporre modelli estetici innovativi.
Fin dai primi anni di attività abbiamo sempre cercato uno spazio che avremmo potuto chiamare “casa”. Un luogo dove poter costruire da un lato il nostro linguaggio artistico e dall’altro collaborazioni con gli artisti.
Dopo molti anni di ricerca abbiamo avuto, nel 2018, la grande occasione di gestire uno spazio unico come l’ex Teatro Sala Uno, che noi ribattezeremo TeatroBasilica, per il nostro spettacolo Generazione XX di Anton Giulio Calenda. Abbiamo scelto questo spazio come nostra fucina creativa e dopo molte vicissitudini siamo riusciti a diventare la compagnia residente del teatro.
La zona di Roma in cui ci siamo trovati a operare non è frutto di una scelta ponderata ma della possibilità (e non del caso, voglio sottolineare). Prima di lavorare al TeatroBasilica, avevamo costruito progetti in zone periferiche di Roma, come Tor Pignattara. Ad oggi posso affermare che anche una quartiere come quello di San Giovanni nasconde dietro alla sua centralità moltissime difficoltà sociali e culturali e che il nostro lavoro come presidio d’arte è fondamentale.
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Quali sono le vostre collaborazioni con le istituzioni? E con gli altri centri?
Dal 2021 la compagnia teatrale Gruppo della Creta è stata riconosciuta e finanziata dal ministero dei beni culturali come Impresa di Produzione Under 35. Questo finanziamento sostiene la nostra programmazione produttiva, ma non sostiene le attività di gestione del TeatroBasilica, che si autofinanzia con gli incassi e grazie al lavoro volontario del nostro team.
Abbiamo costruito ottimi rapporti con le maggiori università romane: Sapienza, Roma Tre e Tor Vergata. Inoltre stiamo diventando un punto di riferimento per il teatro scolastico grazie alla natura intima che l’ambiente permette di stimolare tra gli studenti e gli artisti: da noi si può entrare in contatto realmente con gli artisti in scena.
Negli anni moltissime associazioni hanno voluto collaborare con la nostra realtà, a partire dagli spazi limitrofi al nostro teatro, come l’associazione “Tra le volte” e la galleria d’arte “Sala Uno”.
Da quest’anno invece siamo lieti di aver intessuto ottimi rapporti con due ambasciate e i rispettivi centri culturali: quella Russa e quella Argentina. L’ambasciata Argentina quest’anno sta patrocinando il nostro nuovo spettacolo in fase di produzione e questa attenzione al nostro lavoro ci rende orgogliosi.
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Quali sono i profili che compongono il vostro team?
I più vari! Il Gruppo è eterogeneo sia per età, provenienza regionale, che per percorso di studi.
I membri fondatori della compagnia si sono formati come attori, ma fin dal principio ci siamo specializzati anche negli aspetti che riguardano la gestione e l’organizzazione teatrale. Io sono regista e organizzatore, la presidente del Gruppo Bruna Sdao è attrice e ingegnere e il nostro addetto alla comunicazione Cristiano Demurtas è anche grafico. Nel nostro collettivo ci sono musicisti che collaborano nella scrittura delle musiche di scena e di cui sosteniamo la produzione musicale, come Amedeo Monda e Enea Chisci. Altri sono attori puri come Alessio Esposito, Laura Pannia, Jacopo Cinque e Matteo Baronchelli. Anton Giulio Calenda invece è il nostro drammaturgo e scrive spettacoli appositamente per i nostri attori.
Nel nostro collettivo c’è anche un’attenzione particolare al mondo della sostenibilità e collaboriamo da molti anni con Gabriele Merlini, promotore e distributore di vini naturali. Altre figure professionali si sono unite al nostro team dopo aver completato un tirocinio con l’università. A me scherzando piace dire: Noi siamo Legione!
L’obiettivo principale è quello di affermare l’identità di “team creativo”, e dimostrare che la collaborazione è la formula vincente per affrontare le sfide del futuro.
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Che tipo di rapporti si sono instaurato nel tempo con il vostro pubblico? Quali sono stati i progetti che hanno riscontrato più partecipazione attiva?
Il Gruppo della Creta può vantare un bacino di pubblico in crescita costante con un’età media che si attesta intorno ai 35 anni. Il pubblico e la critica, anche durante i difficili anni della pandemia, hanno seguito con interesse, affetto e continuità le proposte della compagnia. La direzione artistica ha sempre cercato di stimolare il proprio pubblico attraverso proposte che non ripetessero canoni di fruizione già conosciuti, ma che potessero creare incroci imprevedibili tra le arti, i linguaggi e i nuovi media. La compagnia è votata a una visione politica del proprio fare teatro, in quanto contraria allo stato attuale delle cose.
Orientheatre. Giro di vite è un progetto in cui la collaborazione con il pubblico è stata meravigliosa. Il progetto consisteva in un percorso spettacolarizzato all’interno del quartiere di Tor Pignattara in cui lo spettatore diventava un attivo interprete dello spettacolo.
L’innovatività è parte fondante della natura del Gruppo della Creta, che cerca di rispondere alle esigenze della contemporaneità. La stessa natura della compagnia, composta da artisti Under 35, identifica una realtà artistica che cerca di definire un percorso virtuoso come impresa culturale.
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Quanto è importante proporre linguaggi multidisciplinari nel vostro spazio?
Musica, teatro, pittura, fotografia, cinema e letteratura devono avere uno spazio dove convivere, perché soltanto dalla somma di ognuna di esse si può trovare il senso dei nostri giorni. L’incontro rende imprevedibile l’esito del racconto, in quanto intreccia volontà e traiettorie, identità e alterità che, moltiplicando il potenziale, abbattono appunto i confini del prevedibile.
Questo è il TeatroBasilica: un luogo dove la multidisciplinarietà è la struttura portante. Non abbiamo mai voluto costruire un luogo destinato a un solo pubblico o a una sola forma artistica. Il nostro desiderio è quello di stimolare una familiarità con l’arte così che lo spettatore possa sviluppare con essa un rapporto concreto.
La multidisciplinarità entra anche nella nostra ricerca artistica come compagnia teatrale, non solo come organo organizzativo. I nostri spettacoli nascono dalla necessità di far incontrare e scontrare stili e linguaggi differenti.
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Ci sono dei progetti che avevate ideato ma che poi non sono stati realizzati? Per quali motivi?
A pensarci direi che non abbiamo mai rinunciato a nessun nostro progetto. Con caparbietà siamo sempre riusciti a portare a termine i nostri obiettivi. Ma d’altra parte siamo stati molto rallentati. Due anni della nostra vita non si sono realizzati. Non voglio essere tragico, ma è vero che noi ad oggi ci troviamo indietro di due anni esatti. Il TeatroBasilica e la compagnia teatrale adesso si troverebbero ad affrontare uno step successivo e invece ci troviamo ancora in una fase di nascita.
Questo non significa, come scrivevo prima, che ci siamo fermati, anzi. Il teatro è stato aperto ogni volta che le regole ci permettevano di farlo e il pubblico è sempre venuto e ha sostenuto le nostre proposte. Anche la compagnia in questi anni di difficoltà, è riuscita a riorganizzarsi e ha trovato fondi ed energie per non arrendersi.
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Come mettete in dialogo l’eredità storica della basilica con la vostra offerta culturale?
Piazza San Giovanni, sulla quale affaccia il TeatroBasilica, è una delle più belle piazze del mondo e ha una storia millenaria. Ma San Giovanni per noi è sopratutto una piazza popolare. La Basilica, la Scala Santa e le Mura Aureliane si mescolano con la memoria dei funerali di Berlinguer, delle grandi manifestazioni per i diritti civili e per ogni italiano alla festa dei lavoratori del Primo maggio. Questo binomio tra storia e sentimento popolare è ciò che vorremmo recuperare e traslare nell’idea di TeatroBasilica.
La programmazione che scegliamo è senza dubbio legata alla ricerca, alla nuova drammaturgia e tende verso il teatro d’arte senza dimenticarsi mai del pubblico. Anzi la nostra volontà è quella di offrire un teatro accessibile e popolare. Il TeatroBasilica è legato ad una concetto di teatro politico, nell’accezione di utile per tutti. Che l’argomento sia sociale o esistenziale la nostra scelta è sempre guidata dalla necessità di proporre spettacoli che spostino gli spettatori da un torpore che per noi non è più sopportabile.
Speriamo che il TeatroBasilica diventi sempre più un teatro di innovazione su Roma che, nel suo piccolo, possa essere un valore aggiunto per la città e per la piazza che lo ospita.
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Come si è evoluta la ricerca artistica del Gruppo della Creta negli anni di residenza a TeatroBasilica? E il rapporto con il pubblico?
Per noi è stata un’occasione unica diventare compagnia residente del teatro, ed è una possibilità che stiamo sfruttando più che possiamo. Avere modo di legare la propria ricerca a uno spazio concreto per degli artisti emergenti è fondamentale. Il TeatroBasilica ci permette di avere tempo, che è la più grande risorsa in teatro. Avere tempo per sbagliare e rifare e sbagliare ancora. Il teatro è un’arte artigianale e ha bisogno del lavoro di palcoscenico per affinarsi.
Abbiamo potuto costruire i nostri spettacoli dividendo le prove tra fasi di laboratorio, destinati alla ricerca, e di montaggio, per costruire la messa in scena. Possiamo sperimentare possibilità tecniche e provare a lungo con le luci per costruire ambientazioni visive personali.
Inoltre la gestione dello spazio ci permette di conoscere gli artisti, di comprendere da vicino il loro modo di lavorare, la loro poetica, ma soprattutto la loro umanità; e infine di conoscere anche il pubblico, con le sue necessità, ci mette in contatto con gli spettatori che sono tanti e diversi. Negli anni stiamo imparando a capire come renderci visibili, come interessare le persone. Abbiamo capito che ogni spettacolo è un mondo, una galassia che va scoperta e comunicata.
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Come riuscite a raccontare la contemporaneità attraverso la tradizione teatrale?
Non c’è un come, una ricetta preconfezionata. C’è una pratica quotidiana. La tradizione è intesa come scambio tra artisti di generazioni diverse. Ribadisco che il teatro è un’arte pratica, che si può anche studiare (e si deve studiare) teoricamente, ma che poi viene vissuta sui corpi degli attori.
Abbiamo la fortuna di collaborare con dei maestri del teatro italiano che con generosità ci donano la loro esperienza. Tra tutti il regista Antonio Calenda che segue il nostro percorso artistico con sguardo affettuoso. Ma anche un immenso attore con Roberto Herlitzka che da noi sta compiendo un gesto teatrale immenso come leggere integralmente la “Divina Commedia”. Insieme a tantissimi altri, da Riccardo Caporossi all’attrice Francesca Benedetti, che sono vicini a noi in questo percorso.
L’esperienza di questi teatranti veri ci permette di conoscere un teatro che noi non abbiamo avuto modo di incontrare. Noi abbiamo il compito, con linguaggi e tematiche diverse dalle loro, di scoprire come trasporre nella contemporaneità questa sapienza. Ogni giorno, spettacolo dopo spettacolo, siamo investiti dal compito di proseguire una tradizione, quella teatrale, che apparentemente non ha più spazio nella nostra realtà quotidiana.