Transizioni
Urbane a roma
Arbores / La ramificazione dei nuovi centri culturali
Roma Smistamento
Testi: Davide Lunerti
Fotografie: Riccardo Ferranti
Studio di ricerca, coworking e spazio espositivo dell’Associazione Culturale TWM Factory, Roma Smistamento nasce dalla rigenerazione degli ex uffici ferroviari della RFI. Un hub multidisciplinare under35 dove, fra piante in vaso e collezioni di cataloghi, si riuniscono architetti, designer, urbanisti, fotografi, esperti di comunicazione, artisti e curatori: un luogo dedicato ai giovani dell’industria creativa, professionisti o freschi di studi universitari, che vogliano lanciarsi a capofitto nel mondo della progettazione culturale.
Dettagli
Anno: 2018
Indirizzo: Via di Villa Spada 343
Direttivo: Nicola Brucoli, Ginevra Corso, Riccardo Ferranti, Carlo Settimio Battisti e Andrea Fulgenzi
Intervista: Nicola Brucoli (Direttore creativo)
Sito: https://twmfactory.it/i-nostri-progetti/#smistamento
NICOLA BRUCOLI
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Com’è nato il vostro progetto? Perché aprire proprio in questa zona?
TWM Factory nasce nel 2015 come Associazione Culturale, dal proseguimento dell’esperienza di The Walkman Magazine, progetto editoriale sorto da giovani studenti che scrivevano delle loro materie di studio.
Avendo bisogno di uno spazio per poter crescere, riunirci e concretizzare i nostri progetti, partecipiamo a una call di RFI, che metteva a disposizione la sede degli uffici ferroviari di Roma Smistamento, in stato di dismissione.
Quindi abbiamo aperto in questa zona, nel 2018, perché abbiamo colto questa opportunità. Se da un lato abbiamo colmato un vuoto, perché nel quartiere di Villa Spada-Fidene realtà creativo-culturali come la nostra non c’erano, dall’altro è stato difficile, specialmente all’inizio, riuscire a comunicare il nostro lavoro.
Penso che nel nostro piccolo abbiamo contribuito alla trasformazione di questa parte di città. Siamo entrati nel momento in cui veniva eletto presidente del municipio Giovanni Caudo, un urbanista, che è venuto a trovarci e ci ha detto “voi fate qui dentro quello che io insegno ai miei studenti”.
Da quel momento sono stati portati avanti una serie di interventi urbani: è stato recuperato Largo Labia; l’edificio di CityLab 971 è stato in parte rigenerato; il TMB dell’AMA, che scaricava qui montagne di rifiuti, è stato chiuso; è comparso un collegamento pedonale. Piccoli aspetti che nell’insieme formano una città più vivibile.
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Quali sono le vostre collaborazioni con le istituzioni? E con gli altri centri?
Fin dal principio abbiamo sempre sostenuto l’importanza di fare network. Quando abbiamo cominciato eravamo studenti universitari, quindi abbiamo cercato subito riscontro con professori di Sapienza, di Roma Tre e delle Accademie. Abbiamo sviluppato con loro piani formativi per studenti di Design, Comunicazione, Architettura, Global Governance e Fotografia. Il nostro approccio si basa sul learning by doing, che fa parte della nostra natura: abbiamo costruito i nostri progetti a partire da zero, perseguendo le nostre visioni con grande determinazione.
Nel corso del tempo abbiamo intessuto relazioni con istituzioni importanti, innanzitutto il nostro e altri municipi. Abbiamo sempre dialogato con Roma Capitale, con i Ministeri (MIMS e MIC) e con Regione Lazio.
Facciamo rete da sempre con enti del terzo settore, fondazioni e associazioni già radicate, come Roma Fotografia, Roma Ricerca Roma, Fondazione Marco Vigorelli, Fondazione Symbola, Associazione Civita e in particolare Open House, fra le prime a riconoscere le nostre potenzialità.
Abbiamo infine co-progettato con aziende ed enti privati, da grandi realtà come Istituto Luce Cinecittà, American Express, CoopCulture, ad attività più settoriali quali Urban Horizon, Gebart e Patamu.
Nel tempo siamo riusciti a costruire una vera e propria comunità di realtà creativo-culturali: abbiamo attivato, nel caso di Riscatti, più di un centinaio di partner.
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Quali sono i profili che compongono il vostro team?
Ognuno di noi parte da studi e competenze significative nei propri ambiti: architettura, fotografia, design, sviluppo urbano sostenibile, comunicazione, project management.
La capacità di ognuno è anche quella di muoversi fra questi ambiti in modo piuttosto fluido, e quindi riusciamo sia singolarmente che in team a gestire progetti complessi attraverso diversi input e output.
Ogni progetto ha un focus più specifico, in Riscatti principalmente corrisponde a urbanistica e architettura, ma si allarga anche a discorsi socio-culturali; pone il design a sistema dell’identità visiva; si sviluppa su più livelli, dall’exhibit all’editorial. Con un team così diversificato riusciamo a mettere in campo diverse competenze.
Il team negli anni è cresciuto molto, sicuramente ha avuto uno sviluppo a fisarmonica: ci sono stati progetti in cui si è allargato e altri in cui si è ristretto. In questa fase è piuttosto numeroso, e ognuno porta il suo spirito.
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Che tipo di rapporti si sono instaurati nel tempo con il vostro pubblico? Quali sono stati i progetti che hanno riscontrato più partecipazione attiva?
Il nostro è un territorio complesso, io l’ho sempre definito quasi “di frontiera”, siamo piuttosto isolati dalle comunità più popolose.
Avere un rapporto con un pubblico di prossimità di conseguenza è risultato complicato, ma nel tempo ci siamo maggiormente riusciti. Abbiamo organizzato vari eventi del dopolavoro, abbiamo recuperato il monumento ai caduti, riunendo varie generazioni a confronto. Si è creato così questo senso del luogo: in uno spazio dove si muovono camion, vagoni, macchinari e merci, noi abbiamo portato un discorso più relazionale, umano, che mancava.
Quando sono venuti a trovarci degli ex ferroviari si sono commossi, entrando e vedendo giovani di 25-30 anni che davano un nuovo senso a quello spazio. È stato emotivamente importante, sia per noi che per loro.
Come pubblico di riferimento abbiamo quello dei Millennials, la nostra generazione, in particolar modo studenti di Architettura, Design, Fotografia, Arte.
Domestic Boundaries, per il Creature Festival 2018, è uno dei progetti che ha avuto più successo. Trattava il tema dell’evoluzione dello spazio abitativo con installazioni molto pop. Un esempio ben riuscito perché abbiamo unito il nostro pubblico di designer, architetti e fotografi con quello di Open House, e sono venute per l’opening più di 600 persone.
Nonostante Smistamento sia architettonicamente rigido, durante gli allestimenti si trasforma, e le persone tornano perché lo spazio diventa diverso dalla volta precedente.
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Quanto è importante proporre linguaggi multidisciplinari nel vostro spazio?
Ci definiamo transdisciplinari, in quanto intendiamo muoverci in un modo molto rapido da un punto a un altro, senza andare ad approfondire un’unica materia, che corrisponde piuttosto a una linea di pensiero novecentesca. Ora ci si muove molto rapidamente in una sorta di superficie, dove si riesce a toccare una moltitudine di punti per metterli in connessione tra loro, perché viviamo così, siamo abituati all’iperconnettività. Abbiamo quindi cercato di portare questo schema cognitivo all’interno dei progetti, che si esplicita nelle nostre mostre con la considerazione di più linguaggi e prospettive. In una visione d’insieme si inserisce anche il catalogo e la cura della parte digitale: ogni progetto prevede lo sviluppo di un sistema complesso.
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Quali iniziative sono nate da Roma Smistamento per poi svilupparsi outdoor?
La principale è sicuramente Riscatti di Città.
Abbiamo realizzato una mostra a Roma Smistamento dal titolo Redenzione, che ha segnato una crescita importante da un punto di vista di ricerca e di capacità espositiva di TWM Factory, tanto da essere richiesta da Palazzo Merulana una riedizione approfondita, dal titolo Riscatti di Città, nel 2020.
Sicuramente un progetto che ha avuto un’eco importante anche fuori è stato Giovani Creativi, progetto di promozione dei talenti emergenti under30 e di valorizzazione dei beni culturali italiani, coinvolgendo la Galleria Nazionale e il Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo.
Altro progetto portato all’esterno è Segni Particolari, mostra allestita al Museo Civico del Maschio Angioino a Napoli, dove siamo riusciti a portare un po’ di Roma, vista attraverso gli occhi di giovani artisti.
Infine un’altra iniziativa che ha avuto slancio è stata Contatto, progetto curato e realizzato insieme all’Istituto Luce Cinecittà, per il quale abbiamo lanciato una call nazionale under35, un ciclo di masterclass negli spazi di Cinecittà e una mostra che metteva a contatto i giovani talenti con i maestri dell’archivio.
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Riguardo a “Riscatti di Città”: perché una nuova mappatura?
Secondo noi la mappa è uno strumento importante per riuscire ad abbracciare nella sua interezza il territorio estremamente vasto di Roma, per avere un immediato riscontro della situazione, delle varie specificità di quartieri e municipi, da un punto di vista di rigenerazione, dismissione, e quest’anno anche per quanto riguarda gli spazi culturali.
La mappa crea anche un senso di appartenenza: durante la prima edizione i tanti fruitori ricercavano sulla mappa informazioni specifiche sul proprio quartiere.
Finora non esistevano mappature organiche della rigenerazione urbana e della dismissione a Roma. Abbiamo unito sia ricerche fatte da altri enti, a cui abbiamo aggiunto la nostra, svolta internamente, e un terzo livello basato sulla partecipazione a una call, tramite canali anche poco tradizionali, come quelli digitali, per ottenere quanti più dati possibili.
La mappa nasce come nuovo strumento di consapevolezza e governo del territorio. Da un lato, se si ha modo di osservare quanta dismissione c’è a Roma, in futuro ci sarà modo per intervenire e risolvere questo problema; allo stesso tempo illustrare davanti agli occhi di tutti con dati oggettivi quanta rigenerazione è stata fatta nella città, dimostra che Roma è viva e che non è completamente ferma come definita da stereotipi ricorrenti.
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Come si inserisce il fenomeno dei nuovi centri culturali nel discorso di rigenerazione urbana a Roma?
Parte tutto da una consapevolezza di noi come collettività. Ci siamo resi conto che non solo non possiamo limitarci a ragionare sulla riqualificazione edilizia, o territoriale, degli edifici o degli spazi, ma questi luoghi vanno poi riempiti di funzioni, relazioni, di contenuti che creino poi una crescita, un valore aggiunto per tutte le persone che gravitano nello spazio se non nella città.
Questa funzione di crescita, di slancio, di visione verso l’altro, nasce in questi nuovi centri culturali, che hanno la caratteristica di essere ibridi, mettere insieme visioni e persone diverse. Sono come dei piccoli spaccati di società contemporanea, molto aperti verso l’esterno, allo stesso tempo attrattori di energie anche dall’estero, e quindi diventano dei cuori pulsanti all’interno dei quartieri che vanno a vivificare. Per questo abbiamo voluto dare così tanto spazio ai nuovi centri culturali, sia con la mappatura che con il racconto. Avvicinano la cultura, stimolano le persone e inevitabilmente portano a una rigenerazione dei luoghi e delle persone.
Un progetto di
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