Transizioni
Urbane a roma

Arbores / La ramificazione dei nuovi centri culturali

La Redazione di Scomodo a Spin Time

Testi: Davide Lunerti
Fotografie: Riccardo Ferranti

A Spin Time Labs, ex sede dell’Inpdap occupata dal 2013, vive una grande comunità cosmopolita formata da residenti e associazioni per far fronte all’emergenza abitativa. Nel garage dismesso del palazzo, i ragazzi di Scomodo hanno realizzato un’inestimabile opera di rigenerazione urbana e sociale, dando vita a una biblioteca, uno spazio di coworking, un bar di ritrovo per ragazzi, una sala prove e un’aula studio dove svolgere doposcuola, al fine di rispondere in maniera attiva ai bisogni sociali del quartiere e della città.

Dettagli

Anno: 2020
Indirizzo: Via Carlo Emanuele I, 26
Direttivo: Scomodo
Intervista: Pietro Forti, Responsabile della sezione Attualità di Scomodo

PIETRO FORTI

  • Com’è nato il vostro progetto? Perché aprire proprio in questa zona?

I quartieri San Lorenzo ed Esquilino sono divisi dalla stazione Termini, sostanzialmente da una galleria, e abbiamo da sempre operato in entrambi i territori. Ci siamo stabiliti sotto a Spin Time Labs tanto per la vicinanza d’intenti con la realtà, quanto perché Spin è un progetto di rigenerazione urbana ben studiato e la moltitudine di culture che lo popolano rispecchia perfettamente il multiculturalismo del quartiere.
La Redazione nasce quindi dalla necessità di aprire una “sede” di Scomodo, ma soprattutto di trovare uno spazio dove stabilirci in quanto parte delle nuove generazioni, che più di altre sono “nomadi”, senza una casa. Il fatto che abbia aperto al pubblico durante la pandemia è sintomatico di quanto manchino spazi, dal momento che né università né scuole sono aperte ai propri studenti per paura del covid.

  • Quali sono le vostre collaborazioni con le istituzioni? E con gli altri centri?

Al momento il rapporto con le istituzioni è del tutto delegato alla realtà “madre”, Spin Time. In quanto parte di questa realtà, La Redazione è formalmente sotto sgombero dal 4 gennaio a seguito di una sentenza del TAR che stabilisce che vadano sgomberati gli immobili di proprietà di InvestiRE Sgr, proprietà di Banca Finnat, tra cui il palazzo di Spin Time. Da sempre crediamo di sanare la posizione di tutto il palazzo, e siamo fiduciosi che faremo sentire la nostra voce in questa direzione nonostante la minaccia di sgombero.

  • Quali sono i profili che compongono il vostro team?

Scomodo è una realtà di giovani e giovanissimi, quindi non è possibile parlare di “profili” professionali o semi-professionali, la stragrande maggioranza delle persone che lavorano in Scomodo e in Redazione sono volontari.

  • Che tipo di rapporti si sono instaurati nel tempo con il vostro pubblico? Quali sono stati i progetti che hanno riscontrato più partecipazione attiva?

Scomodo può vantare una lunga serie di progetti premiati con un “successo di pubblico”, che per noi è importante solo in parte. Non credo esistano però emozioni più grandi di quelle che abbiamo provato durante le Notti Scomode: migliaia di persone a ridare vita con socialità e arte, proposta da emergenti, a spazi abbandonati, quelli che noi chiamiamo i “mostri” di Roma.

  • Quanto è importante proporre linguaggi multidisciplinari nel vostro spazio?

È un tentativo complesso, considerando che interagiamo soprattutto con giovanissimi all’interno dello spazio di Scomodo. Tuttavia più che una missione è proprio una necessità che nasce da chi vive lo spazio, anche per poco, e per farlo vivere, e farlo vivere al massimo di quello che secondo i singoli sono le potenzialità dello spazio, arrivano a proporre una quantità spropositata e a volte incontrollata di attività, che chiaramente corrisponde a una varietà di linguaggi. È una ricchezza, per quanto sia complesso metterla a sistema.

  • Ci sono dei progetti che avevate ideato ma che poi non sono stati realizzati? Per quali motivi?

Non possiamo dire che all’interno dello spazio non sia stato realizzato qualcosa in via definitiva. L’unico impedimento reale che potremmo incontrare è quello che la legge pone come limite oggettivo, e cioè poter far vivere quello spazio al pieno delle sue opportunità. Vale a dire: l’unico motivo per cui potremmo non realizzare progetti che abbiamo per quello spazio, aperto alla città, sarebbe uno sgombero.

  • In che modo siete riusciti a coinvolgere la vostra comunità di riferimento per i lavori di rigenerazione? Come avevate immaginato lo spazio per le vostre attività e che differenze avete riscontrato tra il progetto e l’uso quotidiano?

È stato naturale. Il nostro seguito è composto prevalentemente da nuove generazioni, che hanno bisogno non di un “senso di appartenenza” quanto di una comunità. Quando abbiamo aperto il crowdfunding che riguardava lo “spazioscomodo” (ancora non si chiamava La Redazione) abbiamo dato la possibilità di donare materiali, soldi e tempo per lavorare. Va da sé che di soldi e materiali utili ai lavori ne abbiamo visti pochini… Ma il flusso di persone e il passaparola hanno portato centinaia di persone a lavorare allo spazio, in piena estate, finché a settembre non abbiamo portato a termine i lavori e presentato lo spazio alla città. Per poi chiudere due settimane dopo per la seconda ondata di infezioni da coronavirus…

Paradossalmente, le attività dello spazio hanno preso forma a partire dalla progettazione e realizzazione dello spazio, cosa che succede molto di rado quando si costruisce “architettonicamente” un luogo. È stato proprio il virus a modificare la vita del nostro spazio, e il fatto che la sentenza di sgombero sia arrivata il 4 gennaio 2022 ora che si intravede finalmente una luce alla fine del tunnel è deprimente. Ciò non vuol dire che smetteremo di dare alla città il nostro modello di socialità.

  • Quali rapporti si sono instaurati nel tempo con gli abitanti di Spin Time? Che tipo di scambi sono avvenuti tra le vostre realtà?

Il rapporto con la comunità di Spin Time è… complesso. Abbiamo difficoltà chiaramente quando si tratta di interpretare lo stesso spazio in due maniere diverse. Per loro, ovviamente, è la loro casa, e nessuno ama vedere casa propria ridotta a cantiere. Ma lo spazio è nato tenendo conto di queste complessità, e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo visto crescere questo spazio coerentemente con quella che è stata l’attività di Spin Time finora. Lo scambio è quotidiano, e banalmente non potremmo dire di avere un rapporto col quartiere se i primi a partecipare alle attività sociali del nostro spazio non fossero occupanti, giovani e vecchi.

  • Scomodo vuole dare voce a una visione senza filtri dell’attualità. Come si interseca la vostra linea editoriale con l’esperienza a Spin Time? Come si inserisce, più in generale, nelle dinamiche urbane della città di Roma?

L’esperienza di Spin Time è per noi preziosa proprio perché consideriamo rigenerazione urbana non il semplice “rigenerare uno spazio”. Se Spin Time fosse un centro commerciale, sarebbe comunque un palazzo “rigenerato”, ma non sarebbe un cantiere di rigenerazione urbana, ovvero che abbia a che vedere col tessuto sociale cittadino. E questo è quello che conta per Scomodo.
Nell’analizzare la realtà politica e culturale romana nessuno si sognerebbe di considerare la gentrificazione come un fatto legato alla rigenerazione urbana, perché legato a dinamiche commerciali e non a necessità sociali. Spin Time è l’unico spazio così grande a poter dire di fare questo tipo di attività, coniugando abitazione e cultura, e la scelta di Scomodo è coerente con la nostra analisi del presente.