Fondazione VOLUME!
Fotografie: Riccardo Ferranti
In continua evoluzione architettonica, Fondazione VOLUME! è argilla per gli artisti che hanno occasione di lavorarci. Lo spazio, un’ ex vetreria nel quartiere di Trastevere, si presta bene alla linea curatoriale del progetto, basata sulla stratificazione degli interventi d’arte e dei processi di immagazzinazione della memoria. Nato da un’idea del neurochirurgo Francesco Nucci, VOLUME! ha compiuto 25 anni di esperienza e di progettazione con artisti storici ed emergenti, per citarne alcuni Jannis Kounellis, Marina Abramovich, Christian Boltanski, Marina Paris, Regina Josè Galindo.
Dettagli
Anno: 1997
Indirizzo: via di San Francesco di Sales 86/88
Direttivo: Francesco Nucci (presidente), Daniela Baroccini Nucci (vicepresidente), Lorenzo Benedetti (comitato scientifico)
Intervista: Francesco Nucci (presidente), Silvano Manganaro (segretario generale), Roberta Pucci (ufficio stampa e comunicazione)
Francesco Nucci, Silvano Manganaro, Roberta Pucci
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Com’è nato il vostro progetto? Perché aprire proprio in questa zona?
(S.M.) Il progetto è nato da un’iniziativa di Francesco Nucci, neurochirurgo all’Umberto I di Roma e professore alla Sapienza. Era già un collezionista e soprattutto aveva un rapporto speciale e intimo con gli artisti. Aveva idea di cercare un posto, un “rifugio”, e girando per Trastevere ha trovato questo appartamento al piano terra con vetreria annessa.
VOLUME! nasce quindi come prima cosa con l’acquisizione di uno spazio. Francesco si riunì poi per un anno con amici artisti, intellettuali, filosofi e architetti romani per capire cosa fare di questo spazio, con l’idea di rigenerarlo e dedicarlo all’arte, ma senza ancora una definizione specifica, con l’unica certezza che non dovesse essere uno spazio commerciale, una galleria.
(F. N.) Andava fatto un grande lavoro di ristrutturazione. L’umidità nel tempo aveva danneggiato gravemente l’edificio, risalente al 5-600 e quindi anche privo di fondamenta.
In fase di ricostruzione dello spazio, si è deciso comunemente di organizzare interventi artistici durante i lavori, il che corrispondeva anche a una piccola moda di allora. I primi tre interventi, guidati in parte dalle istruzioni di ricostruzione, furono affidati a tre artisti: Alfredo Pirri, Jannis Kounellis e Bernhard Rudiger. L’intervento più pesante è stato quello di Pirri, per il quale abbiamo scavato quasi due metri e riuscendo a trovare l’origine dell’umidità: il Tevere!
Non sapevo fin dall’inizio cosa VOLUME! potesse diventare, ma in questo spazio c’erano le basi per fare qualunque tipo di lavoro.
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Quali sono le vostre collaborazioni con le istituzioni? E con gli altri centri?
(S.M.) VOLUME! è nato come spazio totalmente indipendente, non nasce legato a nessuna istituzione. La fondazione si è sempre sostenuta economicamente su Francesco Nucci, il che gli ha permesso totale libertà: anziché opere ha sempre voluto collezionare esperienze, emozioni, e le collaborazioni sono nate dalle amicizie e dai contatti che ha coltivato nel tempo.
(R.P.) Sono state tante invece le collaborazioni culturali: abbiamo ospitato artisti stranieri, lavorato spesso con le Accademie, con gli Istituti di cultura, le Ambasciate. Valorizziamo i loro artisti offrendo supporto, comunicazione e ospitalità.
Poi negli anni abbiamo lavorato anche con bandi del Ministero, della Regione, del Comune, ma una relazione stretta con le istituzioni non l’abbiamo mai avuta.
Non ci siamo mai tirati indietro nel momento in cui c’era bisogno di fare rete.
In generale abbiamo ricevuto più attenzione dagli istituti stranieri che da realtà italiane. Abbiamo fatto una mostra al MAMC di Saint-Étienne, per la quale abbiamo realizzato VOLUME! 1997… Today, una pubblicazione che racchiude le immagini di tanti lavori che abbiamo ospitato. È stato per noi un momento di riconoscimento, che veniva dall’estero, da un curatore che ci ha sempre seguito… più che da istituzioni c’è una comunità, intorno a VOLUME!, che è fatta di persone che in questi 25 anni si sono raccolte e hanno condiviso risorse ed energie.
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Quali sono i profili che compongono il vostro team?
(S.M.) Il fulcro di VOLUME! è Francesco Nucci, presidente, che l’ha fatta nascere. Poi da qui sono passate tantissime persone, artisti e curatori importanti.
Io sono di formazione storico dell’arte, dottore in storia dell’arte contemporanea. Attualmente insegno nelle Accademie di Roma e Perugia. A VOLUME! mi occupo della parte curatoriale, editoriale e organizzativa.
(R. P.) Anche io sono storica dell’arte, poi con VOLUME! ho iniziato un percorso nella comunicazione, ho un piccolo studio, e quindi qui mi occupo di comunicazione e in parte di organizzazione.
Anche Marianna De Vita, da architetto, con noi ha iniziato un percorso diverso, di grafica, e si occupa dell’immagine della Fondazione.
Daniela è la colonna portante, la parte legata all’amministrazione e anche un po’ la mamma d’Europa, perché accoglie in maniera materna i nostro ospiti. Alice e Claudia sono le nostre attuali tirocinanti curriculari.
In questo progetto nuovo ci aiuta come curatore Lorenzo Benedetti, che è stato il primo direttore di VOLUME!, ora tornato a Roma.
In realtà facciamo tutti un po’ di tutto per VOLUME!.
(S.M.) Diciamo che VOLUME! non ha un organigramma rigido, proprio in questa visione olistica della cultura.
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Che tipo di rapporti si sono instaurati nel tempo con il vostro pubblico? Quali sono stati i progetti che hanno riscontrato più partecipazione attiva?
(F.N.) Nato Volume è nata la curiosità, perché era uno spazio anomalo. Specialmente la prima programmazione: i primi interventi, di cui abbiamo parlato e che sono durati un anno, sono stati lavori pesantissimi dove abbiamo demolito tutto, e quindi assurdi a cui assistere per il visitatore.
La partecipazione avviene perché siamo anomali, non mettiamo in mostra una serie di dipinti o qualcosa di fisso appeso al muro, no, ma lo spazio che cambia completamente ogni volta.
(S.M.) VOLUME! è uno spazio molto amato a Roma, perché nasce in maniera carbonara: non c’era volontà di farsi vedere, ma di fare qualcosa di interessante e intelligente con gli artisti. Questo per me è uno spazio che diventa quasi una persona, un amico, che ogni volta che incontri trovi cambiato.
Nella Roma veltroniana dei primi anni 2000 c’era un clima frizzante, ed erano grandi feste quelle delle inaugurazioni di VOLUME!, il pubblico veniva da noi e trovava qualcosa di inusuale, per molti insensato.
La cosa che colpiva era: se non c’erano quadri, non si poteva vendere nulla, e alla fine si distruggeva tutto. Questo ha creato una curiosità che portava poi a tornare. In periodo precovid c’erano anche 500 persone, alle inaugurazioni, che rimanevano fino a tardi.
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Quanto è importante proporre linguaggi multidisciplinari nel vostro spazio?
(R.P.) Gli stessi lavori che abbiamo ospitato lo mostrano. Abbiamo invitato artisti diversi, provenienti da diversi background, oppure architetti, designer: ognuno di loro ha portato un nuovo pubblico a VOLUME!.
La stessa cosa si riflette nelle nostre collaborazioni eterogenee, dai progetti con il Vicariato, la Chiesa, i centri sociali. Al Forte Portuense abbiamo svolto due edizioni di un festival, di arte contemporanea e di discipline diverse: video, performance, musica… Quelle sono state anche occasioni per noi per ampliare la nicchia.
(S.M.) Esatto, grazie anche al fatto di variare molto nella scelta degli artisti, da romani, nazionali e internazionali: uno spazio che si concentra sugli artisti emergenti, per esempio, ha un pubblico che appartiene ad una nicchia precisa. Noi invece abbiamo avuto Kounellis, Paladino, Boltanski, che portano un certo tipo di pubblico; e poi c’è il giovane artista, o quello di nicchia, oppure lavori di architetti, designer, con pubblici diversi da quelli dell’arte contemporanea. Siamo sempre stati uno spazio aperto.
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Quali motivi ci sono dietro la scelta di ospitare progetti temporanei?
(F. N.) Volevamo concepire uno spazio in continuo mutamento. Si cerca di trovare una soluzione che sia diversa da tutti i lavori che sono stati fatti in precedenza. Diventa tutto complicatissimo e facilissimo allo stesso tempo, è come se ci fosse uno zoccolo duro, durissimo, che sostiene e permette di continuare un lavoro apparentemente assurdo. Come fa a cambiare in continuazione uno spazio pur restando fisso nella sua forma? È una sfida, ogni volta.
Questo perché, forse per la mia occupazione di neurochirurgo, ho sempre dato molta più importanza alla memoria del lavoro che al lavoro in sé.
Quello che molti non riuscivano a capire è perché distruggere interventi incredibili e complicatissimi che avevamo costruito con fatica. Ma è proprio questo il punto, fare in modo che la memoria possa essere l’elemento più importante dell’arte e di VOLUME!. Molti quando vengono a trovarci dicono: “ah, mi ricordo questo, e quella volta…”, ecco, questa è la cosa importante. Senza memoria non c’è né presente né futuro. Per questo ogni volta bisogna distruggere tutto, anche se piccole tracce rimangono sempre, oltre all’archiviazione di ogni lavoro e artista che viene qui.
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Che riflessioni sono maturate dagli studi neurologici sul rapporto con il pubblico?
Nasce tutto da una motivazione psicologica: creare qualcosa che mi portasse lontano dal mio rapporto con la vita e con la morte, rendere vivo il presente, con dei lavori effimeri che vengono distrutti per poter passare a una fase di memoria.
Volevo trasmettere agli altri questa mia sensazione, questa è stata tenacemente la battaglia che ho sostenuto per i primi 10 anni. Poi è stato più facile, ma i primi anni sono stati duri, perché mi prendevano per scemo: un lavoro fatto da un artista importante ha il suo valore, milioni e milioni, a quei tempi, e io buttavo via tutto… perché per me la memoria del lavoro è sempre stata più importante del valore dell’oggetto. L’oggetto rappresenta qualcosa di passaggio, poi attraverso la memoria puoi ricostruirlo e cambiarne il ricordo, ma una sedimentazione ci deve essere per forza. La sedimentazione permette la reinterpretazione del ricordo, e rende lo spazio vivo: gli artisti lo riconoscono, sentono il lavoro degli altri.
(S.M.) È una cosa molto romana la sedimentazione, Franco dice sempre che viviamo dei nostri ricordi, che il ricordo del passato plasma il nostro presente. Se tu gratti le pareti di Volume ritrovi le mani di vernice degli artisti precedenti, rosse, bianche… è come quando a Roma devi fare un intervento artistico, e sai che in una piazza si sovrappone a quello di migliaia di anni di storia precedente. Anche il cervello è così, ogni ricordo viene percepito in un determinato modo perché si innesta su una serie di altri ricordi.